Introduzione alla bioetica
La bioetica (dal greco bios, cioè ‘vita’ ed ethos
‘scala di valori’) nasce come disciplina tra il 1960 e il 1970. Il termine venne utilizzato la prima volta nel 1971 in America per indicare un’etica legata alla
vita, che vuole affrontare insieme le questioni scientifiche e quelle
antropologiche.
La bioetica affronta moltissimi temi oggi molto dibattuti, dalle cure per i malati terminali alle questioni riguardanti l’inizio della vita umana, la procreazione assistita, la clonazione,
l’ingegneria genetica, le sperimentazioni sugli embrioni e sull’uomo, la fine della vita, le cure palliative, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia…
Negli ultimi anni, con le grandi possibilità offerte dalla tecnica, la bioetica ha iniziato ad occuparsi anche della terra, delle sperimentazioni sulle piante e sugli animali, essendo state aperte molte prospettive che potrebbero modificare per sempre il nostro habitat.
Fin dai primi anni ’80 del XX secolo in Italia la bioetica si è caratterizzata per due posizioni:
➤ la bioetica classica (vicina al cattolicesimo e all’impostazione
medica tradizionale) che pone alla base della gerarchia dei valori il rispetto
della persona umana (dignità o sacralità della vita);
➤ la bioetica laica, molto attenta alle libertà e alla «qualità della vita» del singolo individuo, e favorevole a un intervento minimalista delle regole sociali.
Uno degli argomenti di cui la bioetica si è più interessata, almeno in
Italia, è quando inizia la vita, cioè se l’embrione è da considerarsi o meno «persona»,
e quando termina, cioè i criteri per stabilire quando una persona è certamente
morta.
Per quanto riguarda l’inizio della vita possiamo elencare tre posizioni:
1. L’embrione è un microscopico essere vivente, non solo in potenza. Quindi va rispettato fin dall’inizio e deve essergli riconosciuta una personalità giuridica fin dai primi giorni di vita
2. L’embrione è solo un insieme di cellule nelle quali non c’è ancora un progetto
3. Si può parlare di «persona in potenza» solo dal 14° giorno e di «persona completa» solo quando c’è attività cerebrale
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